Sono un’outsider per indole. C’è chi nasce leader e trascinatore di folle, chi ha già in fasce l’attitudine a fare gruppo e poi ci sono io, che ho vissuto al margine di tutto, per tutta la vita.
Non ho mai davvero fatto parte di un gruppo: a scuola, a ginnastica, al parco, nei 15 anni di lavoro da dipendente, nella vita, pure in famiglia. Non è che non mi piaccia stare con le altre persone, tutt’altro, è che non mi piace l’idea di omologazione che si nasconde dentro al concetto di appartenenza. Non è mai stata una volontà di essere alternativa o fuori dal coro, è proprio che io voglio – piuttosto – sbagliare con la mia testa e andare avanti, per i fatti miei. Lasciatemi fare e lasciatemi sbatterci il muso.
Questa premessa per chiarire che anche da freelance sono rimasta una “fuori dai giri” e lo sono anche perché ho fatto scelte impopolari nel mio ambiente. Scelte ponderate e che si sono sempre rivelate efficaci per il raggiungimento dei miei obiettivi. Ho fatto errori e sono caduta qua e là, ma l’ho fatto con responsabilità e con altrettanta responsabilità mi sono accollata la fatica di rialzarmi, ricominciare e riparare.
Io ballo da sola, insomma, o almeno è quello che pensavo fino a che non ho alzato gli occhi e mi sono trovata circondata. La sensazione degli ultimi mesi è stata questa.
Di quella volta che hanno cercato di essere me
Mentre io mi sforzavo di trovare soluzioni interessanti e funzionali per la mia comunicazione, mentre pensavo di seguire la mia strada, dietro di me si è formato un gregge e – potrà sembrare banale, ma io a questa solitudine da outsider ormai ci sono abituata – è stato come essere braccata in una battuta di caccia.
Negli ultimi mesi ho cercato con impegno e costanza nuovi modi creativi di proporre i miei contenuti e con una puntualità svizzera ho ritrovato idee e soluzioni replicate qui e là da competitor e aspiranti tali. Non solo, ci ho ritrovato le mie parole, i miei gesti, il mio modo di fare e il mio atteggiamento.
Non mi sgomento per chi mi copia fotografie, settings e video, ho smesso di meravigliarmi pure per la sfacciataggine di chi mi scrive con la pretesa che gli insegni (gratis e senza ringraziamenti) come fare il mio lavoro, quello che mi ha davvero turbata è che qualcuno abbia pensato che copiare la mia comunicazione potesse essere utile alla sua.
È stato un assedio vero e proprio, un momento di impasse che mi ha messo in seria difficoltà. Questo gregge belante faceva così rumore che il timore – fondato (spoiler!) – era che i miei potenziali clienti potessero non sentire la mia voce, non trovarmi quando avrebbero avuto bisogno di me.
Uscirne ha richiesto uno sforzo extra che avrei evitato in questo momento ma che alla fine è servito per rivedermi da zero, ripartire alzando l’asticella e andare di nuovo al bordo, fuori dalla torma. Non è stato divertente ma è stato utile, soprattutto perché, quando è finito tutto questo baccano ho potuto fermarmi e ragionare su quello che è successo e che sta succedendo nella comunicazione, non solo nella mia.
Non è un ballo di gruppo
La sensazione diffusa, da parte di utenti e addetti ai lavori, è che tutti stiano facendo le stesse cose e che, cosa ancora più grave, le stanno facendo tutti allo stesso modo. L’ultimo che arriva guarda quello che ha davanti e ripete, neanche stessimo ballando la macarena. È un meccanismo che stanca chi comunica e chi ascolta allo stesso modo.
L’idea di “fare come fa lui perché funziona” è sbagliata alla base, non solo perché copiare è un errore e blablà – qui non voglio fare discorsi etici – ma soprattutto perché implica il fatto che per andare avanti starai sempre dietro a qualcun altro. Non siamo in fila e il cliente non ci si prende con i numerini, come dal macellaio, ma ci sceglie perché oltre alla qualità del lavoro possiamo offrirgli sostegno, pazienza, entusiasmo, razionalità o spirito di iniziativa per gestire il suo progetto.
Prendersi il tone of voice di un’altra persona vuol dire anche rinunciare al proprio, mettere da parte la propria personalità, diluire, dentro quelle degli altri, quelle caratteristiche che ci fanno diversi e che sono proprio il motivo per cui un cliente ci affida un lavoro, oppure no.
Quando accetti l’idea di copiare la comunicazione di qualcun altro hai già svalutato il tuo valore di professionista, hai già deciso di essere meno e di non essere in grado di produrre qualcosa di originale, di non essere capace di farlo a modo tuo. Se neanche tu credi a ciò che fai, come potrebbe crederci il tuo cliente?
Le bollette non si pagano con i follower
Non si tratta di raccogliere quanti più follower possibili, non è pesca a strascico. Se utilizziamo i social network per comunicarci è perché abbiamo qualcosa da vendere e il successo di un business non si misura in follower ma in fatturato. Non è un pubblico vasto ad assicurare un maggior numero di vendite ma il pubblico giusto.
È chiaro, viste le premesse, che un pubblico che arriva attratto da una comunicazione che ha la personalità di qualcun altro, nella migliore delle ipotesi, ti seguirà senza mai troppo entusiasmo. Nella peggiore, invece, potrebbe trasformarsi in un cliente scontento le cui aspettative, create da una comunicazione artefatta, saranno state disattese. Un cliente scontento compromette la tua credibilità. Molti clienti scontenti compromettono il tuo futuro come professionista.
Ragionare sulla propria comunicazione vuol dire avere consapevolezza del proprio ruolo di professionista, idee chiare e obiettivi definiti, vuol dire sapere quello che si sta facendo, sapere con chi si sta parlando e cosa dirgli per trasformare quel pubblico in cliente, perché non di soli cuori vive il freelance.
Stare fuori dal gregge
Laddove c’è chi offre ricette per una comunicazione di successo, io, che le ricette – quelle delle torte e degli arrosti – le faccio per lavoro, mi sento solo di dire che non esistono liste di ingredienti e formule magiche per sfornare una pagnotta sempre perfetta. I media cambiano, il pubblico e ciò che cerca cambia, cambiamo e cresciamo noi, come persone e professionisti, cambiano i linguaggi e i mezzi per raccontarsi. Nessuna di quelle liste così ben piazzate su Google potrà aiutarti davvero a raccontarti online e a trovare il pubblico e i clienti giusti.
Comunicarsi online è una partita a scacchi che richiede strategia, colpo d’occhio e una buona capacità di improvvisazione. Se, come succede per me, da una buona comunicazione dipende il tuo lavoro, uscire dal gregge potrebbe fare la differenza tra successo e fallimento della tua impresa.
Non si tratta di fare meglio o di farsi notare, il “purché se ne parli” non vale, quando stai cercando di costruirti una reputazione professionale online. La tua voce – la tua personalità – è il tuo valore, è il valore che offri al tuo cliente, ti ascolterà solo se gliela fai sentire.
Qualche extra
Hanno parlato e stanno parlando di comunicazione originale ed efficace anche Gaia Segattini e Anna Pozzan che lavorano nell’handmade ma i cui consigli valgono per chiunque si stia comunicando online.
Per farti ispirare dai grandi guarda “Abstract: The Art of Design”, su Netflix.
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